Appunti di viaggio

Praga day-by-day – Nové Město: kavána tour, Gehry, souvenir, assenzio ed incidenti notturni (Day 6)

Ci sono troppe imprecisioni in questo diario. Prima di tutto gli spuntoni alle finestra che non servono ad evitare le defenestrazioni ma molto banalmente evitano che i pennuti facciano i loro bisogni sui davanzali. Ci eravate cascati, eh? Io sí. Ma la toppata più grande ed imperdonabile é stata quella di pensare che il Lucerna Music Bar potesse essere il famoso ultraelegante e sofisticato kavarna Lucerna che stamattina ho scoperto per caso.

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Day 6

Ma raccontiamola tutta. Oggi la scelta della meta é ricaduta sul quartiere Nové Mesto, la Cittá Nuova. Il mio percorso parte, per forza di cose, da Piazza Venceslao, che appartiene a questo quartiere ed che é a qualche minuto dalla mia pensione. La piazza in origine era un mercato di cavalli fatto costruire da Carlo IV nel 1340. Fu solo nel 1800, quando ci costruirono intorno edifici commerciali e il Museo Nazionale, che essa assunse l’importanza che ha oggi. Essa rappresenta, infatti, il cuore politico e commerciale della cittá, il luogo di raduno per feste e lutti nazionali. In cima alla piazza si trova la statua di San Venceslao a cavallo circondato dai 4 santi protettori della Boemia.

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Piazza Venceslao - statua di San Venceslao e museo nazionale

Mentre scendevo per la piazza che ormai conosco a menadito e dopo aver fatto l’ennesima foto alla statua e al museo nazionale, scorgo un’insegna Lucerna in una delle vie laterali, la parallela di quella in cui io ho cercato il locale l’altra sera.

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Entrata alla galleria Lucerna

Ma come? Mi stanno prendendo in giro? Con fare stizzito mi avvicino al luogo della discordia e penetro nell’ingresso. Oltre a diversi bar, locali e negozi, compare una grande sala sopra la quale finalmente vedo una delle sculture di cui ero alla ricerca in questi giorni: la statua equestre rovesciata di San Venceslao, una parodia di quella vera appena vista. L’opera è del già citato (irriverente) artista ceco David Černý che, ancora una volta, ha creato numerose polemiche. Essa raffigura San Venceslao su un cavallo morto al rovescio, appeso per le zampe. Faccio diverse foto alla divertente opera sospesa sul soffitto. È allora che mi accorgo del locale le cui vetrate danno sulla suddetta opera.

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La statua equestre rovesciata di San Venceslao di David Černý

Sembra molto antico e sotto leggo: “kavárna Lucerna”. Dentro di me un moto di gioia. “Ma allora è destino”, penso. Sì perché voi non lo sapete ma ho scelto di lasciare agli ultimi giorni questo quartiere per riposarmi un po’ dopo la grande fatica. L’idea era quella di farmi il tour dei kavárna in tutta tranquillità. Dovete sapere che prendono questo nome gli antichi café di Praga. Fra il fumo dei suoi caffé, del tabacco e fra quelli del rhum si riunivano scrittori, intellettuali ed artisti. Là dentro hanno visto la luce le prime idee di una Repubblica indipendente, si è organizzata la dissidenza contro il regime comunista durante la Rivoluzione di velluto. Dentro di essi si respira, o meglio si respirava, cultura a pieni polmoni. Oggi non rimangono che i locali con le foto di quel che furono e dei grandi che le bazzicarono. Però io le voglio visitare lo stesso, voglio vedere coi miei occhi ciò che vide un Kafka, voglio sedermi dove si sedette lui. E chissà che non mi confessi il segreto della sua genialità, della sua conturbante complessità artistica. Purtroppo il kavárna preferito da Franz non esiste piú e si chiamava L’Arco. Esso dette il nome ad un movimento di artisti e letterati chiamato gli Arconauti.

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Insegna della kavàrna Lucerna

Per questo motivo, quando ho visto la scritta kavárna ho pensato che Franz mi stesse mandando un segno, forse sono sulla strada giusta. Salgo le vecchie scale del vecchio cafè ed entro nell’elegante locale. Di fronte a me, in fondo all’ampia sala, sta un vecchio pianoforte. Forse sono nel posto giusto. Chiedo informazioni al cameriere se posso avere un programma delle serate ma (stranamente) stenta a capirmi. Faccio per andarmene, quando mi richiama e mi dice:
“Tonight there is a crew…”
Non lo faccio finire e riservo un tavolo proprio nella vetrata che da su Venceslao sul cavallo deforme. Lo ammetto, mi sento gasata.

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La kavárna Lucerna

Me ne vado estremamente felice e mi dirigo verso la famosa strada dove ci sono alcuni dei kavárna più famosi: la via Národní che, attraverso una piccola viuzza, si collega alla piazza San Venceslao. Prima però passo a visitare la Madonna della Neve, chiesa fatta costruire da Carlo IV nella seconda metà del 1300 ma che non fu mai ultimata a causa delle guerre hussite.

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Chiesa Madonna della neve - esterno

In effetti fuori non é granché, ma una volta dentro sono estasiata dal coro, che é l’unica sua parte invece conclusa. Questa chiesa é, per dimensioni, il secondo edificio gotico della cittá. Non mi trattengo, anzi fuggo via velocemente e mi immetto in via Národní.

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Chiesa Madonna della neve - coro

Il primo kavárna é il Café Louvre, quello in cui si trovavano spesso Franz Kafka e l’amico Max Brod, quell’amico a cui Franz lasció i suoi scritti alla morte con la promessa che sarebbero stati distrutti. Per fortuna Max non commise un simile delitto, anzi sistemó quelli che non erano stati ultimati, come “Il Castello”, “America” e “Il processo” e li pubblicó.

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Esterno del Café Louvre

Mentre salgo le scale, li immagino mentre fanno lo stesso e discutono di qualche pettegolezzo artistico. Poi, dopo aver salutato degli amici seduti ad un tavolo, si accomodano al loro tavolo preferito, proprio quello dove siedo io adesso. L’elegante cameriere arriva e porta loro “il solito”. Lo so, state storcendo il naso. Ebbene sì, Franz era una sorta di fighetto, proveniva da una famiglia agiata. Non é uno dei classici scrittori morti di fame come magari immaginate. In effetti, ora che ci penso, con i miei pantaloncini corti e le infradito, stono un po’ in questo contesto super elegante. Ma chi se ne frega? Non mi conosce nessuno. Poi finché non mi mandano via io qui ci resto. Ordino un cappuccino Super Louvre e successivamente uno normale. Il prezzo é onestissimo se confrontato a quelli trovati finora. Mi fanno pagare 95 corone, neanche 4 euro, ma se pensi al gran servizio. E non scordiamoci che ci sono rimasta ore…

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Café Louvre - mappa dei kavárna di Praga

Vado via da lí e proseguo il mio tour dei kavarna passando al Kavárna Národní e poi al Café Slavia che, essendo posto ad angolo con la strada che costeggia il fiume, consente, dalle sue grandi vetrate, di godere della visuale sulla Moldava. In questo kavárna sono passati grandi scrittori, artisti e musicisti come Havel, Smetana e Dvořák.

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Comunque di espresso in espresso mi sono innervosita. Basta kávarna, rischio il collasso. Uscendo dal Café Slavia intravddo la dcultura di un fiorellone gigante. Non so chi sia l’autore, ma la fotografo.

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Decido di percorrere il lungofiume alla ricerca della “Casa danzante” di Frank Gehry. Ho visto le foto un po’ dappertutto, ma non è segnata sulla mia mappa. So solo che dá sul fiume. Questa zona è meno trafficata di quella del ponte Carlo. Mi affaccio sul cornicione che dà sulle sponde e mi accorgo che è popolato. Oltre alle grandi barche dei tour organizzati, molti vanno (giustappunto) sul patino, altri in semplici barchette. Ci sono proprio gli stabilimenti. Un cartello recita che si possono affittare anche la notte. Io continuo a nutrire un certo timore verso il fiume. Sarà che sono donna di mare, nata e vissuta al mare. E poi ho sentito una leggenda su alcuni folletti strani che popolano la Moldava e la proteggono in modo benevolo. Solo che, a quanto pare, trascinano sul fondo i corpi degli annegati. Non so, la cosa non mi piace.

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Stabilimento sulla Moldava

Proseguendo mi accorgo che nella cartina quella zona è segnata. Si chiama il Lungofiume Masaryk e riveste interesse per la successione di edifici neorinascimentali, neobarocchi e Secessione.

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Edifici sul Lungofiume Masaryk

Sinceramente in questi giorni mi sono talmente abituata a vedere palazzi di questo tipo, che non ci avevo fatto caso più di tanto. I primi giorni fotografavo ogni palazzo particolare. Poi ho capito che, per fotografarli tutti, mi sarei dovuta portare un hard disk esterno. Praga conserva il suo fascino anche perché le sue strade ti riservano sempre qualcosa. In effetti qui c’è una gran concentrazione di quel qualcosa. La ciliegina sulla torta al numero 32 dove ha sede il Goethe Institut.

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Il Goethe Institut sul Lungofiume Masaryk

Ma non è l’unica attrazione di quella strada perché sul lato del fiume c’è un’isoletta, che si chiama Isola Slava, che è collegata alla terraferma dall’edificio della Galleria Manes, che ospita mostre di arte contemporanea. Un edificio un po’ anonimo a mio parere. Mi ha colpito invece la grande torre rinascimentale sull’isola, fungeva da cisterna di un acquedotto. Sarà che il cielo si è scurito, e si son formate le nuvole… Insomma, guardate la foto.

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La Torre rinasimentale sull'Isola Slava

E finalmente eccola apparire: la casa che sognavo da bambina, quella delle favole o dei cartoni animati. Chi può resistere al suo fascino? Eppure probabilmente nessun architetto te la consiglierebbe neanche come seconda casa. Mi piacerebbe entrare, se non altro per capire come Gehry è riuscito a razionalizzare gli spazi cosiddetti mancanti. Se ci è riuscito. Ma è tardi e non sono sicura che sia accessibile. E poi mi piace cosí, per il suo aspetto ondulante, danzante sulle sponde del fiume.

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La casa danzante di Frank Gehry

Opto quindi per tornare verso Ponte Carlo. É diventato quasi un appuntamento giornaliero. Son curiosa di vedere nuovi artisti, o anche gli stessi. Un po’ di musica non mi farebbe tanto schifo in effetti. Nell’ultimo tratto del lungofiume mi infilo per caso in una galleria di negozi di souvenir. Lo sapevo, è arrivato il momento. Dovete sapere che nella mia allegra famiglia vigono delle ferree regole. Una di queste é che quando si parte si deve portare insindacabilmente il classico “ricordino” a tutti. Ragion per cui tutti ti dicono cosa vorrebbero e non puoi sgarrare, pena la perdita dei diritti di successione. In una mezzoretta prendo qualcosa per tutti. Spero.

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Il Ponte Carlo dal lungofiume

Finalmente arrivo al Ponte Carlo. C’é proprio il gruppo di ieri, quelli di cui ho preso il cd. Si chiamano “Jazz no problem”. Faccio un piccolo video che trovate in fondo all’articolo. Era proprio ció che ci voleva per tornare a casa serena: la vista del fiume su quelle note carezzevoli.
Torno alla pensione per riposarmi e prepararmi alla grande serata. Verso le 21:30 esco e corro verso il locale. Ci arrivo un po’ trafelata ma intera. Il cameriere mi indica il tavolo riservato a me, proprio davanti a Venceslao sul cavallo deforme. Mi accomodo e ordino il primo mojito in Repubblica Ceca.

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Non sembra ci sia nessun gruppo. Inoltre nella grande sala, dove stamattina c’erano i tavolini, hanno tolto tutto per formare una pista da ballo. E due tizi stanno ballando il tango. Ma come? Mi dico. Eppure fra i monosillabi di stamattina son sicura di aver ripetuto almeno una decina di volte la parola jazz e jazz é jazz dappertutto, in qualsiasi lingua. Comunque la musica non mi dispiace e l’atmosfera é ottimale, quasi soffusa. Decido di rimanere ad aggiornare il diario. Inoltre c’é il wi-fi che puó sempre servire. Il mojito abbiamo capito che non lo sapete fare qui in kavárna, per cui mi sa che, visto che lo vedo nel menú, é giunto il momento di togliermi il pensiero di toccare con mano, anzi con lingua, quello che é un altro dei simboli di Praga: l’assenzio. Il cameriere mi porta un vassoietto con tutto l’occorrente, il kit del perfetto bevitore di questa bevanda. Peccato che io l’abbia visto fare sí e no due volte nella vita e che non abbia la minima idea di come si beva. Chiedo informazione al cameriere che mi spiega tutto il procedimento. In inglese ovviamente. Poi mi molla dicendomi spiritosamente:
“It’s dangerous!”
“Dangerour un pene, e me lo dici pure con quel sorriso idiota?”, penso.
Ma scusa perché non lo fa lui? Ho capito che devo incendiare il cucchiaino facendo squagliare lo zucchero. Ma tu forse non hai capito ragazz(in)o mio che le possibilitá che io riesca a fare una cosa del genere senza incendiare il tavolo, che dico Praga o il mondo intero sono pressocché nulle. Comunque mi rassegno. Prendo il cucchiaio e faccio l’intruglio del peccato. La cosa fila liscia, almeno fino a quando non metto lo zucchero infiammato nel bicchiere. Il liquido si incendia anche lí. Le persone nei tavoli intorno iniziano ad osservarmi con piú frequenza. Io non so assolutamente cosa fare, come spegnere il fuoco. Sempre che si debba spegnere. Prendo il bicchierino d’acqua e lo butto sopra il fuoco, ma ottengo una fiammata piú alta per cui non insisto. A questo punto sono ufficialmente disperata. Cerco il cameriere ma é sparito. Un tizio rozzo al bancone ride e mi fa ok indicando il piccolo incendio. Mi chiedo per quanto ancora sará cosí piccolo. Mi rigiro verso il mio tavolo ed incrocio lo sguardo di un signore che mi guarda divertito. Intanto sento ridere le due ragazze del tavolo a fianco. Io ricambio le risate, ma la mia inizia ad essere nervosetta. Che faccio? Butto il bicchiere per terra e ci salto sopra? Attivo l’allarme antincendio? Chiamo i pompieri? Per fortuna un signore viene in mio aiuto e soffoca banalmente le fiamme col vassoietto. Lo ringrazio, poi aspetto una mezzoretta che il bicchiere si raffreddi. È già tanto che non sia scoppiato. Il sapore fa schifo, eppure l’avevo giá assaggiato in passato. C’é anche da dire che non sapevo che l’acqua fosse lí per essere aggiunta. Pensavo si bevesse chessó dopo. Comunque del sapore me ne frega ormai niente, l’importante è averla scampata.

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Continuo a scrivere. All’improvviso, proprio quando sto sorseggiando i 99% di alcol col 1% di anice ed altri estratti, mi sento un forte “Buuuuu!” alle spalle.
Mi scende un colpo, ma chi cavolo può essere? Mi giro per ritrovarmi davanti il rozzo signore del bancone, quello che mi faceva l’ok quando si è verificato l’incidente. Gli indirizzo lo sguardo più torvo che posso. Ci manca solo lui, e poi che maniere sono? È abituato ad attrarre l’attenzione delle donne facendole spaventare? Vuole giocare a nascondino o ad acchiappino? Lo guardo bene. È un uomo sulla sessantina alto e grosso. Il suo naso, grande e rosso, è solcato da una grossa cicatrice da cui non riesco a distogliere lo sguardo. Ma la cosa che proprio non riesco a tollerare da subito è una risatina inutule e dal suono fastidioso che sgorga copiosa dalla sua enorme bocca. Cosa c’è da ridere, penso? Cosa sei ridolini? Mia madre mi ha insegnato sin da piccolla che la risata deve essere motivata per esplicare la sua essenza metafisica. Solo due generi di persone possono esibire una risata immotivata: gli stolti o i folli (gli ubriachi non erano contemplati o nominati nella mia infanzia). Vediamo un po’ a che categoria appartiene questo. Dopo l’ennesimo risolino, il tizio, con una voce da grande conquistatore, mi fa:
“Are you spanish?”
“No, I’m italian!”
“Ah potevi dirlo subito, son pure io italiano!”, dice facendo imbizzarrire la risata che ora tocca cime inimmaginabili di simpatia.
Perché ridi? Vorrei dirgli. Invece sto zitta e faccio un cenno d’assenso.
Lui continua:
“Che fai?”
“Scrivo”, rispondo.
Con un moto di incredibile ironia mi dice:
“Beh ognuno si diverte a modo suo!”, e ride.
Ma una manciatina di affari tuoi no eh? Sempre mia madre, grande e saggia donna, mi ha anche insegnato a non essere invadente con gli sconosciuti. Tua madre cosa faceva quando tu eri bambino? Si girava i pollici? Se la faceva col postino?
Faccio ancora un cenno d’assenso.
“Che ne dici se mi siedo con te e facciamo una chiacchierata?”
Certo, mi dico, adesso mi ci manca solo questo scherzo della natura sul groppone. A parte che non mi interessa neanche da dove viene, ma poi chi se lo scrolla più? Ed appartiene anche sicuramente alla categoria degli stolti (e/o ubriachi).
Non faccio neanche finta che mi dispiaccia e dico decisa:
“No guarda, devo consegnare questa ‘relazione’ domani mattina e non posso assolutamente distogliere l’attenzione.”
Sembra dispiaciuto, bofonchia qualcosa e se ne va con la coda fra le gambe. Io mi dedico nuovamente alla scrittura. Non mi accorgo del tempo. Di fronte a me un gruppo di ragazzi cechi sorseggiano vino. Ogni tanto mi arrivano le loro risate e alzo gli occhi a guardarli. Poi piano piano vanno via tutti. É circa mezzanotte e fanno capire che devono chiudere. Chissà se anche Franz stava a scrivere in kavárna fino alla chiusura. Probabilmente non avrebbe rischiato di dar fuoco all’universo, ma avrebbe assecondato il flusso di parole fino alla fine. Fino a farsi sbattere fuori.

Ci sarebbero ancora tante cose da fare, ma mi é rimasto un solo giorno ed una cosa a cui tengo parecchio…

Stay Pragued!

I video di oggi:

Jazz no Problem – Ponte Carlo

18 replies »

  1. Ci verrò senz’altro. Ogni viaggio é ritemprante (fortunatamente riesco a confezionarne molti durante l’anno combinando lavoro e piacere), ma Praga dopo le tue scritture non può non essere visitata, se potessi ti assumerei come turist promoter, con quella favella che ti ritrovi riempiresti un eremo sperduto… :-) A proposito non “donne per la testa”, ma una sola mi stá incuriosendo.

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  2. Gliela farei conoscere volentieri, ma é decisamente sfuggente. Certo è comprensibilissimo, considerato che ci conosciamo solo telefonicamente e che, quindi, per costei, sono un illustre sconosciuto. A dire il vero io ho avuto il privilegio, in rete, per caso, qualche giorno fa, di apprezzarne pure l’aspetto oltre alla voce. Per lei invece rimango, attualmente, solo un ideale pinguino in attesa, sotto il sole di una fantomatica piazzetta, che gli appaiano sul display dei numerini magici…

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  3. É strana la vita, non la incontro a pochi metri e la ritrovo a migliaia di km.
    Siamo stati tanto bene che ho inserito un modesto omaggio fotografico nella sala d’ingresso di una location virtuale che conosce bene.

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