Appunti di viaggio

New York day-by-day – Guggenheim Museum (Day 3)

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C’è qualcosa nell’aria di New York che rende il sonno inutile.
Simone de Beauvoir

New York, 19 agosto 2016

East Village, ore 7:42
Chi ha già seguito i miei diari, sa bene quanto il morbo strisciante dell’insonnia segua da sempre le mie notti fuori casa per colpirmi a tradimento. E figurati se non se ne veniva a New York a scrocca la bastarda. Mi ritrovo dunque a vagare per la notte, a scrivere e a sognare (a occhi aperti). Mi affaccio alla finestra e fumo una sigaretta mentre i newyorkesi iniziano la loro giornata costruendo dei film su chi siano, dove stiano andando e perché. Dall’altra parte della strada delle signore di colore di un’età indefinibile, con le apposite sediette, fanno cricca e forse fanno lo stesso. Oppure, visto che credo nel vecchio detto “Tutto il mondo è paese”, esse conoscono esattamente le vite dei passanti, almeno di quelli abituali. Una musica jazz vaga nell’aria rompendo il frastuono incessante della città mentre una signora sulla sessantina dai tratti orientali spinge un carrello. Si ferma proprio sotto la mia finestra a rovistare nelle buste dell’immondizia pronte per essere portate via. Ne apre una e tira fuori delle bottiglie che infila nel suo carrellino. Poi continua il suo percorso chissà dove e perché. La sigaretta è finita, mi rimetto a letto, scrivo queste righe e cerco di dormire.

Guggenheim Museum, ore 16:57
Niente, non s’ha da dormire. Cazzeggio un po’, mi sdoccio e mi butto nella mischia. Oggi la blogger (che è in me) desidera fortemente andare al Guggenheim e io ho un debole per lei, mi piace viziarla per cui la accontento. Nella strada verso la metropolitana che mi porterà nell’Upper East Side, zona di Manhattan in cui si trova il celebre museo, trovo una cosina carina che voglio mostrarvi. Il sottotitolo è: “I know my direction, and you?

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Nonostante sia del tutto convinta di ciò che affermo, a posteriori la cosa mi fa ridere visto che probabilmente la foto, e il post connesso, mi hanno portato sfiga. Per la serie: vuoi fare la fighetta con le idee chiare? E sarai punita! Se no non si spiegherebbe l’ora e mezza nella metro alla ricerca dell’86th street. Evidentemente la direzione della metropolitana di New York non mi è poi così chiara. E dire che ero partita così bene… ho fatto la Metro Card in men che non si dica e ho pure inforcato bene il primo cambio. Son salita sulla linea verde e ho atteso che mi ci portasse. Solo che a un certo punto il numero delle strade non si incrementava più e son finita nei Queens. Ebbene sì, avevo detto che non sarei riuscita a uscire da Manhattan per mancanza di tempo? E invece ci sono uscita, ma per mancanza di scaltrezza. What is scaltrezza?

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Poi però alla fine, dopo esser tornata indietro almeno due volte, ho finalmente quagliato. Scusate lo slang ma sono stremata e le parole ne risentono. Non appena uscita dalla metro, comunque, ho pensato bene di chiedere la direzione verso Central Park sul cui confine si erge il museo. Giusto per non passare la giornata in viaggio perenne. Devo ammettere che è vero ciò che mi hanno detto, e che ho letto, sui newyorkesi. Sono estremamente gentili e disponibili coi turisti, anzi sono loro a offrire il loro aiuto, come un vecchietto che mi vede consultare la cartina e mi chiede se può aiutarmi. Io ormai so dove devo andare ma non voglio deluderlo per cui trovo conferma della direzione e gli sorrido affabile come se mi avesse salvato la giornata. Poteva comparire in metro un’ora prima?

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Giungo dunque all’edificio che ospita la collezione di Solomon Guggenheim. Giro l’angolo e ho un sussulto, quasi un pugno ben assestato nello stomaco quando meno te lo aspetti. Il museo è progettato dal celebre architetto americano Frank Lloyd Wright. Nel video che segue vi racconto la sua storia. Enjoy!

Eccomi dentro l’edificio con un secondo sussulto. La famosa rampa a spirale interna che sale per 800 metri è di una bellezza da mozzare il fiato. Potete ammirarla nel video seguente e in alcune foto che ahimè da sole non le renderebbero giustizia.

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Acquisto il biglietto (25 dollari) e mi faccio sospingere lungo le volte della spirale. Nella prima sala trovo opere di artisti come Cezanne, Renoir, Pissarro, Manet, De Tolouse-Lautrec, Degas, Seurat, Gauguin, Picasso, Kandinsky, Mirò, Severini, Bella, Malevich, Chagall, Delaunay, Mondrian. Mi aggiro fra le opere come un’affamata, sto cercando lei, verde e simmetrica, di fronte a un metaviglioso Kandinsky

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Poi mi guizza un’idea, facciamo un giochino, ve lo spiega la blogger nei prossimi video.

Posto che sono pienamente consapevole di dover affinare le mie doti di cameraman come anche di speaker e che questi diari newyorkesi sono del tutto sperimentali, credo che sia interessante diversificare e creare nuovi stimoli sia in voi lettori sia nella sottoscritta. L’anno scorso a Vienna, nonostante sia soddisfatta del viaggio e ne sia uscita decisamente arricchita, il cuore non batteva, l’elettrocardiogramma era piatto. Inoltre ci tengo a sottolineare, come ho fatto nell’ultimo video, che questo giochino multimediale è stato pensato per due motivi: il primo è che in questo modo vi porto direttamente nei luoghi e nei musei a vedere cosa sto effettivamente vedendo; il secondo è che risparmio tempo sulla scrittura. Per riportarvi tutto ciò che vedo, infatti, mi ci vorrebbero troppe ore che preferisco occupare vedendo altre attrazioni o, perché no, facendomi una sana manciata di affari miei. Inoltre è simpatico, io mi diverto e familiarizzo con voi. Non vi sembra che ci conosciamo un po’ di più adesso? Scordatevelo, scherzavo, non dimenticate che sono stata contagiata dal mio amato Woody, non mi avrete mai. Bu!

Comunque, per chi non gradisce i video, ecco una piccola gallery delle opere.

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Lungo la lunga spirale, invece, sono disposte le opere dell’interessante mostra temporanea dal titolo: “Moholy-Nagy: Future Present” (27 maggio – 7 settembre 2016) dedicata all’artista ungherese László Moholy-Nagy (1895-1946), celebre esponente del Bauhaus. Interessanti le sue sperimentazioni astratte su materiali diversi e con tecniche miste e il suo uso non convenzionale di materiali industriali come vetro e alluminio in pittura e scultura. La sua ricerca, volta a trovare l’interrelazione fra vita, arte e tecnologia, pone queste due discipline come veicolo di trasformazione sociale e miglioramento dell’umanità.
L’esposizione presenta opere che variano in discipline diverse: dipinti, sculture, collage, disegni, stampe, film, fotogrammi, fotografie, fotomontaggi, proiezioni, la documentazione e gli esempi di grafica, pubblicità, e scenografia tratti da collezioni pubbliche e private in Europa e negli Stati Uniti.
Eccovene degli esempi.

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Ecco inoltre ancora qualche graffito sulla mia strada di casa.

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Vi lascio a Woody, l’appuntamento è per domani con nuove avventure dalla Grande Mela.

Non è controllabile la vita, e non finisce in modo perfetto. Solo l’arte puoi controllare, l’arte e la masturbazione: due campi in cui sono un’indiscussa autorità.
(Woody Allen daily pill)

Stay NYed!

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