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LiBrAmando – Philip K. Dick – Tutti i racconti 1947-1953

Philip K. Dick - Tutti i racconti 1947-1953

La fantascienza è la mia religione e Dick il suo profeta.

Philip K. Dick – “Tutti i racconti 1947-1953” – Volume 1/3

Arrivavo da un periodo di magra intellettuale, uno di quei sani intervalli in cui il bugiardino della crema idratante rappresenta l’apice supremo dell’amplesso letterario. Dopo un’estate di viaggi (mentali e non), di scorpacciate social grevi di tuttologie ricorrenti, di mare che è sì bello ma alla lunga diventa avvincente come un torneo di pinella al circolo rionale, era arrivato il momento di rifocillare la dispensa di nuovi stimoli e idee. Ragion per cui ho deciso di concedermi un buon libro (buono hai detto, non come quel deprecabile acquisto estivo di cui non vuoi rivelare il titolo per vile vergogna). D’altronde la sezione “In lettura” della mia libreria brulicava di attraenti copertine dall’aspetto lubrico. Regali accumulati in questi anni che non aspettavano che me.
L’entusiasmo è scemato drasticamente il secondo giorno in cui, dopo aver iniziato una decina di libri, il maggior interesse è rimasto sempre per la luccicante copertina di cui sopra. Non dico che non siano libri di pregio, anzi alcuni sono ritenuti capolavori e io ci credo. Solo che non sono rispondenti, non mi si addicono. Non adesso. Forse.

È a quel punto che è comparso lui, “il tomo”, quello con la copertina meno splendente e l’aspetto volumetrico abnorme che scoraggerebbe anche un topo di biblioteca in crisi d’astinenza. Di libri ovviamente. L’autore era noto, anche a queste pagine per inciso, e rappresenta una sorta di garanzia. L’unica nota dolente era la forma: una raccolta di racconti. In effetti avevo in mente qualcosa di diverso, un romanzo articolato.

Quello che non mi aspettavo, ma ciò dipende da una certa arteriosclerosi galoppante, è che l’immensa immaginazione dickiana avrebbe superato un concetto di romanzo chiuso e statico. In alcuni racconti di Philip K. Dick, il cervello percepisce talmente tante immagini e concetti di fine portata, che il confine di separazione con discipline quali la scienza e la filosofia diventa molto labile. Per non parlare della fantasia a fiotti, dello stupore a intervalli irregolari e di un certo senso “educato” dell’assurdo, che rendono la lettura un su-e-giù sulle montagne russe della propria emotività.
Parlo di viaggi nel tempo e nello spazio, esplorazioni di mondi alieni e/o mutazioni importanti della Terra e degli esseri viventi, guerre folli, armi spaziali (in senso letterale e non), contorti giochi di potere e ipotesi fantasmagoriche sull’origine dell’uomo.

Nulla sfugge a Dick, tutti i dettagli sono considerati o sottintesi. Attraverso i dialoghi, egli crea accurate descrizioni che ogni lettore riproduce a suo modo.
La popolazione pensante di grossi ragni adharani, alti 1 metro e mezzo (meglio dire “lunghi” vista la posizione aracnoide dovuta alle molteplici zampe), per la mia immaginazione conscia e non, ad esempio, sono due mesi di insonnia e paranoie. Per altri, invece, sono degli inutili mostri “pluriarticolati” a cui rubare il famigerato tesoro. Salvo poi scoprire che l’uomo, spesso troppo ingenuo o troppo indirizzato verso l’egoismo, la guerra e la convinzione di una presunta superiorità, finisce sempre per distruggere se stesso con le sue stesse mani. Questo è un tema ricorrente in Dick, anche se permane sempre la fiducia nell’essere umano e nella sua capacità di rispondere ai limiti dovuti alla sua natura imprecisa.

Così, mentre fumo la classica sigaretta post coito col mio amico Philip, invece di fargli domande autoreferenziali del cazzo, lo interrogo sul senso del mondo e su quanto sia assurdo pensare alla mente umana come finita. Non finché esistono scrittori come lui, il profeta della mia religione: la fantascienza.

Ps nell’intro del “tomo” Dick fa un’interessante riflessione sulla fantascienza considerata una disciplina letteraria di scarso valore tanto che, quando egli pubblicò i primi racconti, qualcuno gli chiese quando sarebbe passato a scrivere qualcosa di serio. Personalmente non ho una visione della letteratura avviluppata a schemi e rigide, quanto sterili, differenziazioni. Lo scrittore fa la differenza, qualsiasi cosa egli scriva.

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4 replies »

  1. Quantunque i censori affermino che lo scrittore di genere fa o non fa specie, procedono con i piedi di piombo nel ribadire come sia categorico. I censori non sfuggono all’opacità, divengono recensori a fil di piombo.

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