L’ultima giornata uggiosa di quella stagione. Almeno sperava. Si era completamente convinto che ormai sarebbe arrivata l’estate ed invece eccola giungere triste e malinconica quella dannata pioggia, a rendere ancora più mogio quel periodo della sua vita.
Da quando Amanda se n’era andata, portandosi via anche tutte le sue speranze di poter essere un normale essere umano sociale, Marco si era rinchiuso nella sua consueta solitudine, difetto questo che era stato determinante nella lenta decadenza del loro rapporto. Quella pioggia gli faceva riaffiorare la tristezza per quel vuoto che difficilmente sarebbe riuscito a colmare. Nel suo essere un animale solitario e chiuso, egli non era mai riuscito a spiegarle esattamente quello che provava, e forse anche per questo lei se n’era andata, lasciandolo nel più totale sconforto.
Salì verso la zona di Castello, costeggiando antiche mura ed incrociando vecchie torri. Ormai conosceva quei posti a memoria,
ma ogni volta si sorprendeva della bellezza dei tetti colorati e spioventi che fanno sembrare la città vista dall’alto simile alla tavolozza di un fantasioso pittore. I nuvoloni scuri quel giorno completavano la meravigliosa quanto maestosa visuale. Si accorse di essere in forte ritardo. Si rinchiuse sotto il suo ombrello scuro e affrettò il passo verso la biblioteca. Si fermò nel solito bar di passaggio per un caffè veloce ed arrivò al lavoro con pochi minuti di ritardo. Aprì il portone e penetrò il vecchio stabile. Come ogni giorno, venne risucchiato dalla profonda atmosfera di antico.
Era come se, dietro a quelle umide e spesse mura, si celassero le storie degli altri custodi che, come lui, avevano varcato quella porta e vi avevano passato tanto tempo. Se in un primo momento aveva odiato quel lavoro che lo obbligava a stare per intere giornate solo là dentro, quando erano nati i primi importanti litigi con Amanda aveva iniziato ad apprezzarlo e spesso a preferirlo alla sua stessa casa ormai trasformata in una trincea. Lì non esisteva nessuna guerra, solo una pace assoluta.
Raggiunse la sua solita postazione e tirò fuori il contenuto del suo zaino.
Il solito rilassante silenzio invadeva lo stabile, spezzato solo dal ripetitivo ticchettio della pioggia. Forse entro sera avrebbe smesso, ma tanto che gli importava? Quell’intenso smarrimento non sarebbe andato via con la pioggia. Si sedette e si perse nella lettura di un libro che lo stava appassionando parecchio. Passò circa un’ora quando la sua attenzione fu catturata, con suo profondo disappunto, da un rumore proveniente dal corridoio. Proprio adesso che stava per dipanarsi il misterioso intreccio di storie del racconto che stava leggendo. Una luce flebile filtrava dalle poche finestre distribuite per l’edificio.
“Sarà quel maledetto gatto che si infila sempre qua dentro. Devo scoprire da dove entra…”, disse fra se e sé scorgendo un’ombra in lontananza che si infilava nell’ultima stanza in fondo stranamente aperta.
Quello era uno dei locali della biblioteca, dove ancora erano custoditi antichi libri di chissà quale anno e provenienza. Si precipitò verso la stanza col solito “Micio, micio!” che funzionava sempre con quella sottospecie di felino nano e pure antipatico.
Stavolta però lo dovette rincorrere fino a destinazione. Finalmente lo vide e gli corse incontro, ma questi, tirando fuori gli artigli e facendo quell’orribile suono stridulo e aggressivo che farebbe accapponare la pelle anche al più impavido domatore di leoni, gli si scaglio contro e lui dovette indietreggiare fino a sbattere contro una delle librerie.
“Maledetto gatto!”, urlò. Nell’impatto fece cadere dei libri, e si affrettò a raccoglierli. Uno di questi si era aperto e si intravedeva un foglio bianco scritto a mano che era stato evidentemente infilato fra le sue pagine. Mise a posto tutti gli altri e raccolse il grosso libro ingiallito dal tempo. Si sedette in una delle scrivanie e ne estrasse il famigerato foglio. Era una lettera, datata il 6 maggio del 1924, indirizzata ad una donna di nome Augusta. Incuriosito, ne lesse il contenuto:
“Cara Augusta,
è da tempo che ti scrivo, ma ogni volta che lo faccio mi sembra di non riuscire ad esprimere nel modo giusto quello che sento, e finisco sempre per strappare tutto. Le incomprensioni che ci hanno sempre diviso sono ormai diventate delle insanabili crepe che ci perseguitano.
So che ti è difficile accettare il mio carattere chiuso ed il mio lavoro che mi costringe dentro queste mura in compagnia di vecchi libri per la maggior parte della giornata. Devi capire che ti amo tantissimo, ma non riesco ad essere ciò che non sono, a trasformarmi in quello che tu vorresti. Non voglio che tu te ne vada, come hai minacciato ieri per l’ennesima volta. Stasera lascerò questa lettera nel libro più antico e prezioso. Tornato a casa, cercherò di parlarti sinceramente del nostro amore, sconfiggendo i miei mostri e cercando di farti cambiare idea. Se tu deciderai di andartene lo stesso, farò in modo di farti avere questa lettera dopo aver spezzato la mia vita, resa inutile senza di te. Questo posto, i suoi libri, la mia esistenza sono nulla se privati della tua meravigliosa essenza.
Con tutto il mio amore.
Fernando”
Marco rilesse lo scritto un paio di volte e quasi si commosse. Sembrava la sua storia.
Ma Amanda era andata via. Chissà cosa aveva fatto Augusta, chissà se Fernando era riuscito a vincere quella battaglia. Il fatto che non avesse recuperato la lettera faceva pensare il contrario, ma non era detto. Egli voleva pensare che tutto fosse finito bene, che lui non si fosse ucciso,che fosse riuscito a convincerla e ad aprirsi come lui non aveva mai fatto con Amanda.
In ogni caso non si spiegava perché quella lettera fosse ancora lì. Se lui avesse fatto il terribile gesto, avrebbe fatto in modo di farla avere alla sua amata.
Perso in questi pensieri, non si era reso conto che si era fatto ormai tardi. Rilesse la lettera per un’ultima volta, la infilò nel libro e spense la luce, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Una strana sensazione l’aveva invaso,
come se riuscisse per la prima volta a visualizzare oggettivamente anche il suo rapporto con Amanda, le sue mancanze e le sue colpe. Lui amava quella donna e non aveva fatto nulla per tenersela o per riprendersela. Spense anche le altre luci, si guardò intorno per l’ultima volta e chiuse a doppia mandata il grosso portone. Mentre compieva questi atti dettati dall’abitudine, continuava a riflettere sulla questione. Si incamminò per la strada ed i suoi passi divennero sempre più veloci fino a trasformarsi in una corsa urgente e liberatoria. La pioggia lo bagnava, ma adesso non se ne accorgeva. La casa di Amanda non era poi tanto lontana…
Credits:
Foto (C)2012 Marilena Riello
Categories: Fotografia, Progetti foto-narrativi, Racconti, Scorci urbani
Belle foto, mi piacciono sempre….e un bel racconto ! Non l’ho ancora letto tutto, ma davvero, non sarebbe male pensare ad una raccolta ;)
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Ah ah ah te la tenti sempre eh?!
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Bè, il mio è un consiglio per te, ma poi fais cussu chi bollisi, ovviamente.
Da oggi non te lo consiglio più :) anzi te lo sconsiglio, t.i.è. !
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immoi no ti da pighisi, guarda che ti cito nella prossima elucubrazione eh?! E poi t.i.è. è farina del mio saccoLO ;) Grazie amico, lo sai che la ritengo una buona idea, vedremo se realizzarla prima o poi…
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Bingolo anche stavolta Fede! la Brabs legge le mie foto e tira fuori il meglio. Grazie… ;)
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Marilena figurati, io sono sempre sincero, complimenti meritati. A presto
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Un bel racconto, complimenti anche per i tuoi disegni Barbara, ho avuto modo di vederli.
Grande Mariii
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Grazie Carlo :)
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Grazie ancora carissimo, per la compagnia e l’incoraggiamento sotto la pioggia :D
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