La giornata di Tzia Tonina detta Ninetta iniziava molto presto. Con l’andare degli anni diminuiva anche il numero di ore in cui riusciva a dormire. Ci pensava ogni mattina, quando si svegliava, maledicendo l’alba non ancora spuntata e quella sensazione di veglia feroce che le impediva di riaddormentarsi. Niente, doveva alzarsi. Oggi sarebbe dovuta uscire e spingersi oltre la solita botteghina sotto casa. E questo richiedeva il “muncadori” preferito, quello che si era fatta portare dalla sorella di Tzia Teresina dal paese, fatto a mano e di tessuto pregiato. Ormai non lo usava più nessuno giù al Mercato, ma lei non poteva farne a meno. Amava il sabato perché finalmente poteva indossarlo, dopo averlo lavato e inamidato con cura durante la settimana, e anche perché aveva qualcosa con cui impegnarsi in quelle interminabili ore mattutine: la preparazione per la discesa al mercato.
Dopo essersi lavata e profumata per bene, curava con estrema precisione l’abbigliamento e gli accessori. Poi veniva il turno della preparazione del carrellino della spesa. Lo aveva già sistemato la notte prima, ma lo ricontrollava per sicurezza. Era ora di uscire. Il tragitto a piedi era faticoso e colmo di distrazioni, per cui doveva considerare un margine di tempo per arrivarci almeno prima dello scadere dell’orario limite oltre il quale non sarebbe riuscita a comprare tutto quello che si era prefissata, o almeno non nel modo in cui avrebbe voluto.
Come aveva immaginato lungo la via dovette superare degli ostacoli, come Tzia Filomena, che entrava a far spesa nella bottega di Lampis e che, appena la vide, le andò incontro per salutarla. Quello era uno dei più terribili imprevisti che le potessero capitare, perché era sicura che l’avrebbe trattenuta a lungo, parlandole per l’ennesima volta dei problemi del figlio e angosciandola con la solita solfa trita e ritrita. Riuscì a dribblarla, inventandosi un appuntamento con la sarta.
A passo spedito ed il carrellino a traina, scendeva le vie abbarbicate di Villanova per approdare nel grande piazzale del Mercato di San Benedetto. Era in orario, forse anche un po’ in anticipo.
Avrebbe potuto scegliere con calma il pesce e le verdure, cosa che le premeva particolarmente, visto che Marco le aveva promesso di portare i nipotini l’indomani a pranzo. Ora che ci pensava, doveva ancora darle la conferma e non si faceva sentire da una settimana. Sperava che non avrebbe disdetto come l’ultima volta, quando lo aveva dovuto chiamare la domenica mattina per sentirsi dire che si era scordato e nel frattempo aveva preso un altro impegno. Poverino, non l’aveva di certo fatto apposta, con tutte le cose a cui doveva pensare…
Prima cosa da fare piano di su e, nell’ordine, pane, verdure e carne. Tzia Ninetta sapeva dove andare. Ormai aveva i suoi venditori di fiducia che la trattavano bene. Anche se aveva qualche perplessità sul banchetto della verdura. Da quando aveva lasciato tutto al figlio, le melanzane di Tziu Cicchinu Sa Motti erano diventate troppo care per i suoi gusti. A dire il vero, era tutto diventato troppo caro.
“Quell’imbroglione del figlio si pensa che sono nata ieri… Gè no mi frigada però…”, pensò fra se e sé mentre ci passava davanti. Il sorriso amicante del grassone verso quelle melanzane così fresche e lucidate a dovere, la fece tentennare lievemente, ma si riprese subito, facendo un cenno col capo ed andando avanti. Le sirene non l’avrebbero inebriata coi loro canti e avrebbe resistito alle insidie di quel luogo del peccato. Non era semplice schivare le innumerevoli tentazioni declamate mirabilmente dai venditori e, se lasciavi che si impossessassero del tuo sguardo, potevano ipnotizzarti e farti comprare qualsiasi cosa volessero. Ci voleva estrema concentrazione per attraversare quel posto senza fermarsi in ogni bancone e comprare qualcosa. Era un’arte e Tzia Ninetta l’aveva coltivata in anni e anni di massaiaggio.
“Tre carote, un sedano, un paio di finocchi. Mi dia anche un po’ di arance e due banane che domani vengono a pranzo i miei nipotini. Ah signorina, mi raccomando, faccia attenzione col peso, la settimana scorsa ho controllato e il conto non è tornato!”.
Due coscette di pollo da fare bollite, un bel pezzo di carne da brodo e la parte più noiosa è fatta. Adesso arriva il bello. Il piano di giù. La zona del pesce, e all’ora migliore, quella tarda in cui, si sa, te lo lanciano addosso perché invenduto. Voleva prendere un paio di orate da cucinare ai bambini. A loro piaceva molto il pesce cucinato dalla nonna. E lei voleva accontentarli.
Si portò il carrellino per le scale ed entrò nell’ampio locale pieno di banchetti traboccanti di ogni prelibatezza di pesce. Le piaceva anche solo girare quel posto senza comprarci niente, per immaginare i modi in cui avrebbe potuto cucinarli. Quando Giuanni era ancora in vita le capitava spesso di comprare e cucinare il pesce. Quelli erano bei tempi, quando non era così sola e poteva condividere i pasti, parlare con qualcuno. Aveva anche un altro tenore di vita, adesso che viveva solo della sua pensione era più difficile far quadrare i conti, soprattutto con la crisi attuale, cosa di cui parlavano tutti giù al mercato. Lei sapeva che era vero. Aveva vissuto il dopoguerra, poi aveva assistito allo “scialacquo capitalista” (così lo chiamava la buonanima di Giuanni) degli ultimi anni ed infine, per punizione divina, il paese era ripiombato nel limbo economico più duro (questa l’aveva sentita al telegiornale). Aveva visto alternarsi là dentro periodi di magra e di prosperità, e adesso, avevano ragione i venditori, il periodo era di terribile depressione.
Fece un giro per il piano osservando attentamente e di sottecchi i prezzi delle orate. Riuscì a non incrociare lo sguardo dei tanti che le volevano rifilare i residui della giornata. Si tappò le orecchie con la cera per scansare i canti ammalianti delle sirene e finalmente si decise. C’era un’offertona nel banco numero 57. Cercò di non affrettare il passo per non mostrarsi troppo ansiosa di comprare e si rivolse alla signorona che la serviva. Cercò di abbassare il prezzo ulteriormente e riuscì a scroccare uno sconto di 50 cent, sempre meglio di niente…
All’improvviso sentì tutto tremare. Che stava succedendo? Si toccò nella borsa, proveniva da lì. Ah si, doveva essere quella trappola telefonica che le aveva regalato Marco. Poteva essere solo lui. Si precipitò a cercare il cellulare.
“Ciao Marco, che piacere sentirti… Come stanno i bambini?”, un attimo di silenzio, il mercato si fermò, scomparve: “Ah capisco… Non fa niente, se glielo avevate promesso… Facciamo per sabato prossimo allora?”. Il suo viso aperto in una smorfia di speranza ed attesa.”Ok, va bene ci riaggiorniamo la settimana prossima. Dai un bacio ai bambini. Ciao Marco.”. Tlick. Riagganciato, e con la linea anche la sua domenica, i suoi nipoti, un attimo di vita.
“No, lasci stare, ripasso sabato prossimo…”
Il suo ritorno a casa è più lungo stavolta, la sua meta quasi sconosciuta. E’ solo l’abitudine che la riporta a quel luogo della memoria. “Se solo ci fosse ancora Giuanni…”
Credits:
Foto (C)2012 Marilena Riello
:)
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Pisci Friscu ! Che bello , fisci friscu come hai scritto nelle tag, è un bel mix :)
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e no eusu accattau is bucconisi! ahahah ciao Fede!
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Merylen… dalle tue foto ho scoperto una cosa che non avevo notato… Per un euro ti puliscono le cozze… Organizzo una cozzata a casa mia, chi c’è c’è!!!
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Cambara,Bucconisi, sparedda e mummungionisi ! Pisciu-Rè !
Làghè ne ho fatto di Ratantira, ita ri creis !
Ciao Marilena ! Belle foto anche queste, brava ;)
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