Brabs

Il riscatto del peluche

Il racconto che segue nasce da questi scatti. In realtà non sapevo ancora dove mi avrebbero portato, sono partita da alcune idee fotografiche per poi venir trascinata in dimensioni parallele che appartengono al passato, intimi luoghi del mio inconscio. Tutto merito di un orsetto!

IL RISCATTO DEL PELUCHE

1. Antefatto
Erano passati 25 anni dall’ultima volta in cui aveva visto la luce. Da allora SenzaNome era rimasto chiuso fra vecchi cimeli, prigioniero di una scatola sommersa da altre scatole in una buia cantina. Sognava la luce, il cielo e soprattutto il mare, quella strana distesa blu che aveva visto una sola volta quando Clelia, la sua inseparabile padroncina, lo aveva portato con sé. Era rimasto a lungo immobile a osservare le onde che si infrangevano dolcemente sulla riva. Sarebbe voluto andare con Clelia in acqua, avrebbe voluto sentirne la freschezza. Ma la Strega di Biancaneve, che Clelia si ostinava a chiamare “mamma”, tuonò:
“Clelia ti avevo detto che quell’ammasso di pelo non può andare in acqua con te. È già brutto così, lo vuoi pure spelacchiato? Guarda, è tutto pieno di sabbia. Di sicuro stanotte non dorme nel tuo letto. E al mare non lo porti più!”
Clelia aveva tentato invano di convincere l’Orca Assassina, aveva pianto, urlato e sbattuto i piedi ma a nulla era valso. Da quel giorno SenzaNome era sempre rimasto a casa contando i minuti prima di vederla arrivare con le gote arrossate e gli incredibili racconti sui misteriosi abitanti del mare.
Intanto il tempo passava e, più passava, più Clelia cresceva e, più cresceva, più i suoi interessi cambiavano. Si era fatta nuovi amici in carne e ossa e non si rivolgeva quasi più a SenzaNome. Ormai parlava solo con lo specchio lamentandosi di essere brutta e di non piacere ai ragazzi.
“Specchio specchio delle mie brame, chi è la più sfitinzia del Reame?”
Lo specchio si rifiutava di rispondere. Allora Clelia storceva il viso in una smorfia e si rispondeva da sola con una voce in falsetto:
“Non tu di certo che, più che a Biancaneve, somigli alla sorella più lercia di Cenerentola! Potresti contattare il genio di Aladino e chiedergli un miracolo, anzi, se ti avanza un desiderio, chiedigli cortesemente se mi trasforma in uno specchio normale, ne ho le palle piene di far da psicoterapeuta a tutte le racchie del circondario!”
In effetti i bubboni purulenti che le tempestavano il viso e la peluria ancora intonsa la facevano assomigliare a un cinghiale con la rosolia ma SenzaNome non glielo avrebbe mai detto. E poi lui la vedeva bella, sapeva cosa si nascondeva dietro quel brutto anatroccolo, lui conosceva la Clelia vera, quella che l’aveva sempre abbracciato con amore, che gli aveva fatto sentire la vita e le aveva dato un senso. E ora, con la sua indifferenza, glielo toglieva.
SenzaNome perse interesse verso le cose. I suoi occhi rossi, che un tempo sorridevano felici, non avevano più nessuna espressione, fissavano il vuoto incuranti della polvere che adesso li ricopriva.
Poi una fredda sera d’inverno Crudelia De Mon, sì sempre lei, la madre di Clelia, afferrò SenzaNome per la collottola e lo sbatté con violenza nel buio della scatola. Clelia non se ne accorse nemmeno, ascoltava musica con le cuffiette quando la madre le urlò:
“Ti dispiace se metto via l’orsetto depresso che somiglia a Calimero? Secondo me porta sfiga.”
“…”
“Lo prendo per un no, tanto è uguale, ho già deciso. E poi son sicura che non te ne accorgerai neanche.”
Il giorno dopo Clelia, notando un vuoto nel pensile, pensò che sarebbe stato carino appenderci dietro il poster dei Duran Duran appena trovato nel Cioè. Così fece.

2. La prigionia
Per SenzaNome gli anni passarono lenti senza uno spiraglio di luce, senza un minimo rumore se non il borbottio soffocato di quelle gran pettegole delle bamboline sarde, sue coinquiline assieme a una manciata di soldatini di piombo. Anche loro lo snobbavano addensando la nube oscura della sua solitudine.
Solo un giorno, qualche anno dopo, aveva sentito la voce di Clelia. Le scatole erano state spostate e trasportate in un’altra casa ma nulla era successo. Possibile che Clelia si fosse dimenticata di lui? Di quando lo faceva sedere sulla sedia a dondolo e lo spingeva troppo forte facendolo sbattere sul soffitto o di quando lo prendeva per la catena appesa al collo e lo trascinava attentando alla sua incolumità e a quella della casa intera? Ne avevano fatte tante insieme.
Clelia sarebbe tornata, SenzaNome ne era certo.

3. L’oblio
Si sentivano i grilli. Era di sicuro notte e doveva essere autunno a giudicare dalla temperatura di nuovo calata dopo la stagione equatoriale. Le chiacchierone dormivano già o forse se la facevano coi soldatini di piombo, ad ogni modo il loro brusio era cessato da un pezzo. A SenzaNome parve di sentire il suono lontano di una tromba, erano note intrise di una lieve malinconia. Cercò di tendere le grosse orecchie ma il suono cessò. Decise di dormire un po’, probabilmente si trattava di un’allucinazione. Poco prima che riuscisse a prendere sonno, però, fu abbagliato da una luce tanto intensa e accecante da fargli perdere i sensi.
Quando riaprì gli occhi fu nuovamente investito dal bagliore, dopo tanto tempo al buio non era facile tenere gli occhi aperti. Sopra di lui il cielo. O mio Dio, il cielo, pensò SenzaNome pervaso da una forte emozione. Sentì un suono conosciuto in lontananza, quello che non aveva mai dimenticato, quel dolce mormorio delle onde che si scagliavano sul bagnasciuga. Là in fondo c’era il mare.
Si sollevò, poteva muoversi. Ma che diavolo gli era successo?
Percorse una pedana di legno che lo portò sulla spiaggia, vi si buttò rotolandosi e assaporando una forte sensazione di leggerezza. Non riusciva a credere ai suoi occhi, che fosse un sogno? Altre volte gli era capitato di sognare la libertà ma mai era stato così realistico e mai aveva provato la sensazione di potersi muovere. E poi c’era il mare, un sogno che si realizzava. Si avvicinò alla riva, stava quasi per toccare l’acqua quando gli giunse nitido il suono di una tromba. Ancora lei. Si girò in quella direzione e vide una figura in lontananza, chiuse gli occhi e si fece guidare dalle note. Camminava in silenzio sentendo il suono avvicinarsi, poi inciampò su qualcosa.
Aprì gli occhi e vide una figura per terra. Si trattava di una donna, il suo corpo era allungato sulla sabbia come se avesse cercato di trascinarsi. Davanti a lei solo la tromba, probabilmente stava cercando di afferrarla quando aveva perso i sensi. Accanto al capo stava una parrucca rossa che doveva esserle scivolata via e penzolava dai capelli neri. Dei guanti le ricoprivano le braccia e un boa nero le si attorcigliava sulla schiena nuda. SenzaNome si chiese chi fosse quella donna e chi avesse suonato la tromba che lo aveva attirato in quella spiaggia. E soprattutto perché.
La donna si mosse cercando ancora di sporgersi e afferrare la tromba. Quindi era viva, pensò SenzaNome. Si mise di fronte a lei con le sue zampette di peluche.
“Chi c’è?”, disse la donna con una voce d’oltretomba cercando di aprire gli occhi. Poi continuò: ” Sei tu SenzaNome?”
SenzaNome indietreggiò. Come faceva a sapere il suo nome? Poi si fece coraggio e rispose:
“Sì, sono io. Tu chi sei?”
“Come chi sono? Non mi riconosci? Sono Clelia, la tua padroncina. Sono passati tanti anni e non sono più la bambina che conoscevi!”
“Clelia ma che ti è successo?”, disse SenzaNome avvicinandosi a lei e carezzandole il viso.
“Ciò che è successo non è importante SenzaNome, non lo è neanche quello che succederà. Ciò che conta è che tu sia arrivato qui. Ho fatto di tutto per chiamarti a me, avevo solo due desideri: suonare ancora la mia amata tromba e riabbracciare te. Soprattutto volevo che tu mi perdonassi perché ti ho dimenticato e ho permesso che la tua vita fosse un inferno dentro quella maledetta scatola. Ti ho cercato tante volte negli ultimi anni ma mia madre, sì lei, quella che chiamavi la signorina Rottermaier, mi aveva detto di averti buttato. Quanto mi sei mancato SenzaNome, vieni qui e abbracciami come allora. Io sto per fare un lungo viaggio e non so se ci rivedremo ancora. Ricordavo quanto desiderassi vedere il mare e ho deciso di incontrarti proprio nel luogo in cui lo vedesti la prima volta, lo stesso di cui allora ti raccontavo ogni giorno. Ho pensato che forse qui mi avresti perdonato, che avresti potuto dimenticare questi lunghi anni di solitudine. Mi dispiace SenzaNome…”
SenzaNome si strinse forte a Clelia mentre le lacrime gli scendevano dal viso:
“Clelia, mia dolce padroncina, non hai nulla da farti perdonare. Io ho aspettato tanto il tuo ritorno, sapevo che prima o poi ci saremmo ritrovati, il nostro amore è più forte dei subdoli truchetti di Gargamella in versione femminile. Adesso staremo sempre insieme!”
“No SenzaNome, purtroppo io sto andando via e non tornerò, ma prima di andare c’è una cosa che volevo dirti. Ti sarai chiesto perché non ti abbia mai dato un nome mentre tutti gli altri giocattoli ce l’avevano. Ebbene la verità è che non c’era bisogno che te lo dessi, tu per me eri l’unico e inimitabile e non avevo necessità di assegnarti nessun nome, a contare era solo la tua essenza che è rimasta con me tutti questi anni.”
Clelia e SenzaNome si sedettero insieme sul bagnasciuga e osservarono il mare a lungo. Tutto era perfetto, l’orizzonte infinito accoglieva il loro rinnovato patto d’amore. Poi tutto si fece nebbia, una fitta nebbia che dissolse ogni cosa.

4. Il riscatto
“Cleliaaaa”, urlò la mamma piangendo. “Cleliaaaa, amore mio quanto mi sei mancata!”.
SenzaNome aprì gli occhi spaventato, ma dove si trovava? Attorno a lui ancora luce e tante persone che lo circondavano. Si trovava in alto, sopra qualcosa. Provò a muoversi ma non ci riuscì, anche le parole non uscivano. Era tornato l’orsetto di sempre, ma Clelia dov’era finita? Era già andata via come gli aveva preannunciato? Lui non voleva che se ne andasse, o quantomeno sarebbe voluto andare con lei per starle vicino, come in riva al mare, per sempre.
Poi sentì sotto di sé un movimento e una mano che lo cingeva. Era Clelia, ne era sicuro. Con una voce flebile disse:
“Mamma, papà dove sono? E voi che ci fate qui? Che mi è successo?”
“Adesso non parlare Clelia, devi riposare. Ti è successo un brutto incidente ma adesso è tutto finito bambina mia…”
“Non ricordo nulla, solo il mare e il mio amato orsetto. Dov’è SenzaNome?”
“SenzaNome è qui con te Clelia, nei tuoi deliri lo nominavi sempre e ho pensato di portartelo. Adesso però dormi, sei stanca e provata. Io e papà ce ne andiamo e riportiamo SenzaNome a casa così anche lui potrà riposare.”
“Poi non avevo ragione a darle della Nonna Abelarda a sta sadica del malaugurio”, pensò SenzaNome.
“Te lo scordi, SenzaNome rimane qui. Io e lui non ci separeremo mai più!”

5. E vissero tutti felici e contenti
Ehmmm…

Credits foto: Maga Magò aka @catecara

N.B. Se siete proprio curiosi di sapere da dove nasce questa storia cliccate qui.

FOTOROMANZO CLELIA & SENZANOME

1. Confidenze a letto
2. Due cuori rossoblu
3. Sotto l’albero
4. Chi tromba a Capodanno…
5. In macchina
6. Metti Carnevale per San Valentino (o viceversa)
7. Al market

6 replies »

  1. …il poster dei Duran Duran appena trovato nel Cioè!
    Che mi vai a pescare! AHAHAH!
    Bel racconto e belle foto… Ah qui la sabbia la invidio.
    Almenon nevicasse… Piove

    Like

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