Conobbi meglio Antonietta, e per questo posso permettermi di fare quelle che sono più che delle supposizioni, perché l’insegnante decise di farla sedere proprio nel mio banco. Inizialmente mi risentii un pochino, avevo sentito parlare della casa stregata e del mistero che ruotava attorno alla sua famiglia. Avevo undici anni, la schiena coperta di brufoli e una dannata esigenza di acquisire rispettabilità dal punto di vista sociale. Non era facile per nessuno nella giungla delle scuole medie, ognuno pensava per sé e preservava la sua sopravvivenza. È ovvio che essere accompagnati da una ragazza sgraziata, goffa e sfigata non aiutava la mia scalata sociale.
Inoltre c’era il fattore paura. Cosa succedeva davvero in quel seminterrato? Quali inenarrabili riti esoterici venivano effettuati fra una tastiera e la corda di una chitarra? Maledissi la professoressa che aveva avuto l’idea di piazzare quella zavorra proprio al mio fianco. Poi però giorno dopo giorno cominciai a conoscerla, a penetrare la spessa cortina che si era costruita attorno, a vederla per ciò che era davvero. All’inizio lottai contro la voglia di abbandonarmi a quell’animo gentile e generoso, poi non opposi più resistenza. Antonietta, in realtà, era una ragazzina profondamente sensibile e dotata di un animo semplice e puro. Aveva avuto la sfortuna di avere un aspetto fisico non affine, e neanche lontanamente somigliante, ai generici canoni di bellezza. Questo, unito ai continui spostamenti dovuti alla professione del padre, la rendevano tremendamente insicura. Il ripetuto spostarsi di città in città comportava, infatti, ripetuti tentativi di integrazione in un’età in cui si ha la disperata esigenza di stabilità e certezza. Nella vita di Antonietta c’era davvero poco di certo, soprattutto quando crollò uno dei più grossi capisaldi della sua esistenza: il rapporto fra i genitori.
Io li avevo visti diverse volte, soprattutto la madre che accompagnava la figlia a scuola e veniva a riprenderla alla fine delle lezioni. Era la fotocopia invecchiata di Antonietta, possedeva l’aspetto esatto che la figlia avrebbe avuto alla sua età. Era un donnone corpulento e sovrappeso con addosso la stessa costellazione di lentiggini della figlia, lo stesso sorriso e l’entusiasmo che straripava da ogni poro. Era una donna ottimista, almeno all’apparenza. Quando vidi il padre, un uomo dal viso buio e dall’espressione fuggevole, capii che Antonietta da quell’uomo non aveva ereditato niente, se non quell’espressione dolente e corrucciata che ogni tanto le vedevo. Conobbi il padre perché fui invitata a casa loro. La prima volta fu per il compleanno di Antonietta.
Nonostante ormai la conoscessi e avessi con lei una certa confidenza, non le avevo mai parlato delle dicerie sulla sua casa, né le avevo mai fatto alcuna domanda a riguardo. Al contrario, quando lei accennava a qualcosa successa nella sua casa o cercava di parlarmi della sua camera e dei suoi tesori, io avevo un certo timore e cambiavo argomento. Soprattutto quando nominava il padre il suo sguardo si faceva nero e sembrava rincorrere spettri per le contorte vie della sua intimità.
Tuttavia la sensazione di paura, più che essere rivolta a ciò che avevo sentito su quella casa, era data dal fatto che lei potesse raccontarmi qualcosa che confermasse quelle teorie e che mi costringesse ad allontanarmi da lei.
Per farla breve avevo paura di quella casa, del padre di Antonietta. Però erano stati invitati anche gli altri compagni per cui mi sentivo sicura.
TO BE CONTINUED!
Credits foto copertina: Lo scolaro by Sefy Delli
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