Me lo dissero: sarei stata assassinata. Quando videro la mia espressione smarrita, sentenziarono: “Si tratta di finzione, non crederai di essere talmente importante da meritare un intrigo internazionale? Però visto che ci sei e ci servi, impersonerai la vittima, il nessuno, quella scomoda figura che fa noiosamente capolino in ogni poliziesco. Lo sfigato, quello che viene ammazzato e che neanche ne intuisce le ragioni, quello che spalanca gli occhi nel momento in cui viene trafitto perché sembra non immaginare i motivi per cui lo si sta pugnalando a morte…”.
A quel punto ero completamente terrorizzata. Ma ormai avevo detto che avrei partecipato, per cui non potei fare storie quando non ascoltarono le mie perplessità e, spiattellandomi il contratto firmato, mi sbatterono a fare la morta ammazzata.
Da copione Dito D’Acciaio, un nuovo capino di Quartu, aveva investito dei soldi in un affare di cui gli avevano parlato. Non era particolarmente convinto, ma la sorella gli aveva fatto il lavaggio del cervello perchè aveva una storia torbida con un galoppino che cercava di farsi le ossa nell’Organizzazione. E lui aveva un debole per la sorella, era una delle poche persone che poteva ancora penetrare la fitta coltre di intolleranza verso il prossimo che si era costruito attorno. Per questo motivo fu invischiato nella mia losca storia, ma non era cattivo, era il ruolo che glielo imponeva…
Lo chiamavano così perché quando ancora era un bambino, alla festa del paese, fuggì dal controllo della madre e finì sotto uno dei due possenti tori su cui si reggeva tutto l’altarino votivo di Sant’Elena, patrona del paese. Prima di finire sotto lo scalciare scocciato e animoso dell’animale, il futuro pseudo capino rionale aveva fatto uno strano segno col pollicione, come un ok. Ad ogni modo, un atteggiamento difficile da interpretare, visto il momento. La notizia che sapeva di miracolo fu che Dito non si fece nulla, ed ereditò per questo motivo, quel soprannome.
Si trattava dell’affare del secolo, quello che il cognato gli prospettava come la svolta della vita, non avrebbero dovuto pensare più a niente dopo… Il suo unico compito sarebbe stato quello di far passare una grossa partita di merce particolare, neanche lui sapeva bene di cosa si trattasse. Poteva immaginarlo dalle persone coinvolte: grossi collezionisti d’arte. E lì entravo in gioco io con l’ingrata collocazione in una galleria d’arte a sorseggiare un “aperitivo artistico” (così me lo avevano propinato) proprio nell’esatto momento in cui una banda armata fino ai denti sfondava la porta per portarsi via un’opera per cui io personalmente non avrei dato una lira.
Il sistema di difesa si rivelò più impegnativo del previsto, per cui i malviventi furono costretti a prendere un ostaggio, che, per ovvie ragioni, fui io. Mi portarono con loro durante la fuga, minacciando le guardie di tagliarmi la gola. Io sapevo che lo avrebbero fatto, stavo immobile e aspettavo la morte come una triste e funesta conclusione, sentivo di non meritarlo, ma davanti a me vedevo solo uno scheletro munito di falce che si sfregava le mani pregustando il momento in cui mi avrebbe portato via con sé a bruciare fra i dannati.
Cercai di parlare coi miei carcerieri. Niente da fare. Uno di loro, per pietà, mi concesse una sigaretta.
Dito D’Acciaio in fondo non era un assassino, per cui era stato chiaro coi ragazzi: nessuna violenza e soprattutto comprensione.
Lui lo sapeva già. Gli avevano già dato l’ordine. Ero fottuta…
Parlottarono fra loro, finché il più giovane e un altro coi baffetti a suo seguito mi portarono via su una macchina. Regnava il silenzio. La macchina imboccò una strada costiera. Fra un po’ il sole avrebbe lasciato spazio alla sera, riflettendo l’ombra oscura della notte.
Si fermarono nel parcheggio di una spiaggia e mi fecero scendere dalla macchina. Era inutile ormai parlare, dovevo solo fare i conti con me stessa. Arrivata alla spiaggia deserta mi dissero di raggiungere una roccia. Nei passi che mi dividevano dal patibolo, rividi ogni momento: io che nascevo, la mia infanzia felice, i primi screzi d’amore e la maturità molesta, varie ed eventuali e poi marasma caotico fino ad allora. Avevo ancora tanto da vivere, almeno così pensavo fino a qualche ora prima. Adesso dovevo solo abituarmi al contrario…
Come spinta da una mistica forza sconosciuta, rovesciai il capo all’indietro e adagiai la mia chioma sulle acque. La freschezza del mare penetrò i miei sensi e mi immersi nell’ultima visione, quella delle onde ritmiche ed immortali, mentre ogni luce del giorno se ne andava. Ogni cosa sapeva di mare mentre quel colpo sordo invase la baia. Io mi sentii strana un momento, ma fu questione di un attimo. A posteriori posso dire di non aver sofferto affatto. E poi il buio, solo buio. E’ da giorni che cerco qualcuno quaggiù. C’è qualcuno? Dove siete finiti tutti? Vedo solo le mie immagini proiettate: il colpo, io che mi abbandono nell’acqua, e poi il mio corpo senza vita trascinato come un sacco, ad imprimere e scolpire la mia essenza morente fra i sassolini che compongono Mari Pintau…
“Si, lo so è solo finzione, ma non mi convince, secondo me questa sceneggiatura è una gran cagata, scusate il termine. La storia non ha senso, tantomeno questo escamotage ridicolo del rapimento e dell’ostaggio. Per non parlare del soprannome assurdo di Dito D’Acciaio, che sarebbe stato schiacciato da tori di una tonnellata senza farsi niente. Chi volete prendere in giro? No trama, no mordente…
E poi muoio. Non se ne parla, fanculo al contratto, cercatevene un’altra!”
Hai mai pensato di scrivere il tuo assassinio?
Credits:
Foto (C)2012 Marilena Riello – Blog | Flickr
Categories: Fotografia, Progetti foto-narrativi, Racconti, Scleri personali
Hai avuto molta fantasia nell’immaginare personaggi impossibili ad esistere, Sei piacevole nella lettura
LikeLike
Grazie :)
LikeLike
VOV!
(anche) questa me l’ero persa!! :D
LikeLike
;)
LikeLike
Uff… Ma anche tu, potevi fare un blog poco interessante? Mi sottrai tempo! :D :D :D (Scherzo ovviamente! )
LikeLike
Ah ah ah grazie Gianni :)
LikeLike