14 agosto 2013
Parto da Orgosolo in tarda mattinata, non sono riuscita a vedere tutti i murales ma la febbre del jazz cresce. L’ansia di arrivare a Berchidda, di assaporare la sua consueta magia, si alimenta progressivamente man mano che mi avvicino al paese e mi faccio travolgere, non oppongo resistenza. Mi sento un eroinomane in crisi d’astinenza, devo farmi la “pera” annuale, anelo il jazz, lo voglio, deve essere perentoriamente mio. Berchidda è la mia siringa, lo strumento che mi permette di raggiungere la meta, di iniettarmi il sound che adesso desidero più di ogni cosa. Sarà per questo che sbaglio strada almeno due volte, finendo anche nei parcheggi di una spiaggia di San Teodoro.
“Mi scusi signor vigile, la strada per Berchidda?”
“Beh mi sa che ha sbagliato strada signorina. E poi cos’è quello sguardo annebbiato? Si è drogata? È sicura di poter guidare?”
“È solo la febbre del jazz, se mi indica la strada giusta mi passa, non si preoccupi…”
Proseguo per la mia strada e ne approfitto per scroccare il consueto pranzo alla consueta zietta in quel di Porto San Paolo, poi salto di nuovo in macchina, mi sparo in vena un cd a tema e riprendo il cammino. Dopo tre quarti d’ora circa, ecco il cartello che indica l’ingresso nel paese. Sento una forte emozione, vorrei tornare indietro, ho quasi paura di quello che sento. A voce alta (mi) dico:
“È inutile, il mio destino mi porta sempre qui, da quasi 15 anni, da quando studentessa spiantata mi imboscavo nelle tende degli amici del campeggio al Belvedere. Dieci in una tendina striminzita, scomodi ma felici…”
Schiaffeggio il mio animo romantico sopprimendone la tendenza alla lacrima facile, ridivento improvvisamente dura e faccio il mio rude ingresso al bar da Tonino. Avevo quasi dimenticato l’accoglienza berchiddese, poi mi bastano 30 minuti, due campari, un assaggino di “casu marzu” e il sorriso degli amici lasciati qui l’anno scorso per ambientarmi immediatamente. Per inciso… a me manco piace “su casu marzu”, il famoso formaggio coi vermi che saltano impazziti, ma lo mangio e mi piace pure, finisce che d’ora in poi lo mangio. Il vino rosso poi ci sta da dio. Basta, ormai ho deciso.
Il pomeriggio vinoso trascorre velocemente. Passo a schiacciare un pisolino rigenerante in attesa della serata. Quest’anno l’appartamento è a due passi dalla piazza, è perfetto. Le persiane danno sulla strada, sono aperte. Vengo svegliata dopo 17 lunghi minuti dalla Funky Jazz Orchestra, mi alzo di soprassalto, mi lavo la faccia e sono fuori casa. Seguo il sound, mi lascio guidare dai tamburi, dalle mie amate trombe ed eccoli lì, con le loro inconfondibili divise arancioni e la loro carica travolgente. Li seguo per le strade del paese come ipnotizzata, mi gusto in trance la variante trombonica di Mauro Ottolini e canora di Vanessa Tagliabue.
La serata continua con il concerto in piazza. A presentarlo, come di consueto, Paolo Fresu che imbosca di straforo il breve (ma acuto e divertente) intervento di Flavio Soriga, che anche quest’anno mi strappa quei 5 minuti di piacevole (e mai inopportuna) ironia.
La mia risaputa (ed irriverente) ignoranza musicale mi precludeva la conoscenza di Joshua Redman (e di chissà quanti altri artisti ahimè), per cui è stata una grande sorpresa, soprattutto considerando l’affinità del suo sassofono con le mie papille musicali. Ad impreziosire la performance il piano di Aaron Goldberg, il contrabbasso di Reuen Rogers e la batteria di Greg Hutchinson. Un bel concerto, soffice e carezzevole, proprio il jazz che preferisco.
La febbre si placa, il termometro misura un leggero calo della tensione jazzistica. Per oggi può bastare. In attesa di domani…
Nb: purtroppo il tablet non mi permette di formattare bene l’articolo. O almeno come vorrei. Incollo gli url dei video qui a seguire, poi sistemerò.
Funky Jazz Orchestra + Mauro Ottolini & Vanessa Tagliabue:
Joshua Redman Quartet
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