Luogo: Fondazione Bartoli Felter >> Cagliari
Artisti: Matteo Ambu e Barbara Picci
Titolo: Stones
Curatore: Ivana Salis
Dal 20 febbraio al 7 marzo 2020
Mancano pochi giorni ormai alla fine della mostra “Stones” di cui ho avuto modo di parlarvi più volte attraverso comunicato, immagini dell’inaugurazione e disamina delle opere. A questo punto manca solo il catalogo, come vi avevo promesso, che ho voluto realizzare in diverse versioni a seconda delle vostre “capacità di download”. Lo so, suona male ma mi avrete di certo capito. Lo trovate dunque a qualità media, buona e massima (consigliato).
Visualizza / Download catalogo:
Qualità media (4 Mega) | Qualità buona (13 Mega) | Qualità massima (31 Mega)
A seguire il testo critico di Ivana Salis, curatrice della mostra, che ringraziamo per la disponibilità e la professionalità dimostrate. Non solo ci ha assistito durante la preparazione, l’allestimento e l’inaugurazione con idee e consigli preziosi, ma ha anche scritto per noi questo bellissimo testo critico.
“Una mostra a due voci, quelle di Matteo Ambu e Barbara Picci. Si intrecciano, intersecandosi e incontrandosi in percorsi che legano l’uomo alla sua condizione di natura: come parte dell’universo in armonia con il creato. Così si vorrebbe, ma non è. Abbiamo cementificato, sgombrato, abbattuto, innalzato cattedrali nel deserto. Abbiamo ammucchiato sino a soffocare le acque. Abbiamo distrutto l’equilibrio del mondo. E di equilibrio si parla in questa mostra. Le sculture di Matteo Ambu attraggono come un labirinto, dove la vista si perde alla ricerca della libertà, dell’aria negata, soffocata in una moltitudine di piccoli oggetti: plastiche, metalli, rifiuti informatici e multimateriali. Accumuli, di diverse dimensioni, che riempiono lo spazio, affiancati da elementi litici, pesanti allo sguardo come macigni. Sono parti che prendono vita singolarmente dalle diverse angolazioni: sono quartieri, sono accampamenti, sono basi militari, sono connessioni, sono mondi dove il caos si ordina nel tentativo di un equilibrio impossibile, senza tralasciare la tragica ironia di questo nostro tempo. Come impossibile, estrema sino alla pietrificazione del ready made, è la “fossilizzazione” degli elettrodomestici. È l’opposizione al materialismo, la negazione della progressione tecnologica asservita al capitalismo, della mercificazione, sino all’algoritmo che indirizza ancor prima di noi le nostre scelte di consumo. Tutta la poetica dell’object trouvé, dal dada al surrealismo, ma ancor meglio sino ai nuovi realismi che nella seconda metà del Novecento hanno prelevato gli oggetti della realtà considerandoli come testimonianza e simbolo del tempo presente. Daniel Spoerry ha imbandito tavole e stanze con oggetti del quotidiano, Arman ha creato composizioni critiche attraverso l’accumulazione, César ha pressato la materia in grandi volumi e Louise Nevelson ha composto legni ed elementi architettonici in forme chiuse, smaterializzando la singola parte in favore del tutto. La ricerca di Ambu, contaminata da queste pratiche storiche, si lega alla dialettica tra artificio e natura, dove è quest’ultima a doversi riappropriare di questo tempo e di questo spazio. Dalla pietra e con la pietra procede Barbara Picci. Se Ambu ha ridotto lo spazio del presente in stratificazioni di oggetti, Picci illusionisticamente lo libera nella metafora della pietra come elemento sacrale, ricercata in contesti che riportano alla terra madre, come un rito. Sono costituenti del mondo nella sua composizione biomorfica, ricercata nell’equilibrio dei volumi che si tramutano in antropomorfiche figure. Lontani testimoni del tempo si ergono in candidi corpi e forme dalle cromie primarie, oppure restano nudi, coperti da fasce e bande di colore che esaltano, nella dualità della superficie così risolta, la composizione terrosa. Nel suo operare si ritrova un passeggiare, guardare, sostare sino a trovare una porta d’accesso che permetta di porsi in dialogo con una dimensione perduta. Il bilanciamento delle parti si interrompe quando la pietra è costretta in gabbie di filo metallico. Non sono quelli liberi di costruire spazi tra pieni e vuoti, come in Henry Moore e Barbara Hepworth, sono quelli che serrano la materia prendendone la sua stessa forma. Chiudono ed evidenziano angolature e incontri di facce, percorrendo le superfici con lo stacco visivo di materiali che esprimono la contrapposizione tra il fare della natura e il fare dell’uomo.”
Ivana Salis
LINK UTILI:
- Fotogallery inaugurazione mostra Stones @ Fondazione Bartoli Felter, Cagliari
- “De rerum aequilibrium”, la mia serie di sculture ispirata alla Natura
- Sulla capacità esplicativa delle pietre
- Matteo Ambu e Barbara Picci @ Fondazione Bartoli Felter, Cagliari
Categories: Brabs, News dal Blog, Tendenze ed eventi
1 reply »