
Photo Credits: Zen Chung
TERZO CAPITOLO – Contrasti socio-antropologici – La Campagna
In campagna, invece, il problema della pulizia delle strade non si poneva in quanto non erano asfaltate. D’inverno, al massimo, avrebbero potuto mandare i sommozzatori per trovare le persone disperse nelle pozzanghere.
La comunità, che aveva una sua legittimazione rispetto al paese, essendone una frazione con nome proprio annesso, si lamentava continuamente col comune perché stanziasse dei fondi per la zona. Questa non offriva solo terra da coltivare, ma anche bellissime spiagge, allora ancora poco contaminate dal turismo di massa. Solo più tardi, cioè quando io terminai l’infanzia, il comune fece asfaltare le strade concedendo al piccolo villaggio di sottoposti un primo gradino di civiltà.
Per la festa più importante, che arrivava a fine agosto, la borgata veniva invasa dall’odore delle uve che venivano appese ai carri tradizionali. Il frutto, non solo veniva venduto come frutta da tavola, ma era anche un chiaro simbolo dell’imminente vendemmia. I campagnoli, infatti, si preparavano per il grande evento settembrino, non avevano tempo per ori e i merletti. Comunque, anche se lo avessero avuto, non avrebbero avuto ori e merletti.
La processione attraversava le strade che venivano preparate ad hoc dagli abitanti del piccolo centro abitato. Oltre alla statua della santa, sfilavano uomini, donne e bambini in abiti tradizionali e i carri per il trasporto e la lavorazione delle uve. A seguire stavano i comuni mortali in cerca della salvezza dell’anima. Almeno credo.
In quel caso eravamo autorizzati ad assalire crudelmente il giardino di casa strappando foglie e fiori come se non ci fosse un domani. Sicuramente per quei fiori non ci fu.
Questi venivano stesi sulla strada che veniva opportunamente bagnata una mezzoretta, non prima, che passasse la processione con santa annessa. Non si poteva rischiare di fare la “figuraccia” che i fiori fossero smorti, dovevano essere tagliati da poco, pochissimo, e risplendere in tutta la loro fresca bellezza. Dopo l’acqua che inumidiva per bene la strada, veniva steso il primo strato di foglie poi ricoperto da petali di tutti i tipi e colori. L’aroma era buonissimo. Sia per noi, comuni mortali, che per le zanzare che accorrevano come pazze assatanate a far strage di fedeli.
Nella mezzoretta restante, ci vestivamo con gli abiti della festa e andavamo in strada ad aspettare di avvistare la processione, prima un punto lontano che lentamente si avvicinava fino a sfilare davanti a noi.
A quel punto ci accodavamo agli altri partecipanti e facevamo il tratto di strada che ci separava dalla borgata in cui si trovavano la chiesa e la piazza che avrebbe ospitato la festa successiva, quella più laica.
Di cantanti famosi non se ne videro mai, anche perché in un solo giorno di festa gli unici ad alternarsi sul palco potevano essere al massimo poeti cantori in lingua sarda e ballerini di danze tradizionali. Alla “Sardegna Canta”, per intenderci.
Ricordo lo zucchero filato, il torrone, le noccioline e le caramelle gommose mie adorate. Era un tripudio di odori di caddozzoni, nello specifico di salsiccia con cipolla. Molta cipolla.
Photo Credits: Zen Chung
INDICE:
- 1. L’atterraggio dei Venusiani
- 2. Contrasti socio-antropologici – Il Paese
- 3. Contrasti socio-antropologici – La Campagna (tu sei qui)
- 4. Prime crisi mistiche
- 5. Giochi illeciti
- 6. Scoperte proibite
- 7. Rivelazioni esistenziali: la morte
- 8. La rivincita della Natura
- 9. Prove di sopravvivenza
- 10. Il diverso
- 11. Gerarchie
- 12. Cuori infranti
- 13. Miti e leggende: Maria Barranca
- 14. Nonne ninja e altre supereroine
- 15. Il dialetto perduto
[Raccolgo e rielaboro storie di vita e/o episodi tortuosi/virtuosi. Qualsiasi cosa ecciti la mia vena narrativa.]
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