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Memorie critiche – Giochi illeciti [5]

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QUINTO CAPITOLO – Giochi illeciti

Oltre allo slalom gigante fra le pozzanghere, uno dei giochi più cari a noi bambini era la guerra simulata coi datteri delle tre grandi palme che troneggiavano davanti alle nostre case. Le trincee erano separate con cassette di legno e divenivano l’unico luogo sicuro se non volevi perdere un occhio, tumefarti mezzo corpo o, in generale, riportare a casa troppi lividi e graffi, prove inconfutabili del tuo secco rifiuto dell’autorità parentale.

Erano tanti i modi, tutti validissimi, tramite i quali ciò poteva capitare. Ad esempio potevi cadere dalla bicicletta mentre scappavi dalla famigerata “Macchina nera” che si era presa la briga, per un motivo che ancor oggi ignori, di arrivare nel tuo paesino per scovarti ed eliminarti per sempre. Oppure potevi inoltrarti nella campagna selvaggia e cadere in un fosso di spine, quelle fini fini che ti si conficcavano ovunque e ci mettevi ore a eliminare. Lo faceva tua madre con le pinzette accompagnando con un insulto ogni singola spina. O giocare alla guerra con le frasche sotto i palchi di paese nelle feste patronali e tornare a casa con la faccia gonfia dalle frustate, rossa del sacro sangue del coraggio.

Oppure potevi banalmente tornare a casa e prendere due schiaffi da tua madre perché eri caduta dalla bicicletta, o eri finita fra le spine, o ti eri battuta con coraggio alla fiera paesana. Alla fine le prendevi sempre per un motivo o per l’altro, ma non ci lamentavamo perché avevamo la coscienza sporca, sporchissima. Nascondevamo sempre qualcosa e una volta rischiammo pure il carcere, o almeno così ci fecero credere.

Uno dei nostri più torbidi segreti, infatti, consisteva in un laboratorio chimico in cui creavano profumi dalla dubbia fragranza. La sede segreta era locata sotto il ponticello di entrata della nostra vicina il cui terreno era delimitato da un piccolo canale. Quando il canale era asciutto, ci addentravamo nel suo giardino e “prendevamo in prestito” alcuni dei profumatissimi fiori che vi aveva amorevolmente piantato, per portarli nel nostro laboratorio. Qui i loro petali venivano sminuzzati e messi a decantare per giorni nelle nostre ampolle magiche finché, miracolosamente, perdevano vita e si trasformavano in liquidi insulsi dal profumo indefinibile. Comunque non ci scoraggiavamo e tentavano nuovi innesti e combinazioni. Ovviamente con scarsi risultati.

Comunque alla fine un infiltrato fece la spia e ci scoprirono. Ci dissero che la vicina aveva chiamato i carabinieri e che, per quella volta, non ci avrebbero arrestati. I piccoli loschi scienziati col vizio del furto furono impacchettati e inviati per il week end dai nonni. La paura dell’arresto durò qualche mese, poi il brivido dell’avventura prevalse di nuovo. Mi pento ancor oggi per ciò che feci a quei poveri fiori ma si sa che “i fiori della vicina sono sempre i più belli” e la nostra forte esigenza di sperimentare andava soddisfatta, era una droga.

Il canale veniva anche utilizzato come pista per le macchinine. Le sue anse fangose venivano scavate, modellate e compattate per diventare intrepide piste da cross o tortuosi circuiti su strada. I bambini ci portavano la loro collezione di macchinine, noi bambine quelle che riuscivamo a rubare a fratelli, cugini e amici di fratelli e cugini. In quel caso non si vinceva o perdeva, ma non tutti i bambini del circondario erano autorizzati a farci correre i loro minuscoli bolidi colorati. Era un privilegio per pochi e io ero felice di essere fra quelli.

Continua…

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INDICE:

[Raccolgo e rielaboro storie di vita e/o episodi tortuosi/virtuosi. Qualsiasi cosa ecciti la mia vena narrativa.]

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